L’amore relazionale
Viviamo in un’epoca affascinata dall’identità. Il dibattito sull’identità di genere è in corso.
Capire chi siamo è un bisogno umano profondo e sano. Molte persone non si sentono a proprio agio nella loro pelle e l’applicazione di etichette può essere profondamente inutile. Tutto questo richiede un serio lavoro interiore – e lo è! Ma il cristiano crede che dobbiamo rivolgerci verso l’esterno, non guardare dentro di noi. Nell’epoca dei selfie, questa è una bella sfida.
Partiamo dalla convinzione di base che ogni essere umano è fatto a immagine di Dio; in questo caso, di un Dio relazionale che è “Padre, Figlio e Spirito Santo” (Trinità). Al centro di Dio ci sono le relazioni reciproche fra i tre. Da quanto mi risulta, anche le neuroscienze sostengono che il cervello è profondamente sociale. Il cervello dei bambini prende forma quando percepiscono e sperimentano un’interazione amorevole. Sono piccoli individui fortemente sociali. Il loro viaggio verso la scoperta di sé avviene sempre in compagnia degli altri. Spesso si sente parlare della “mia metà”, o di qualcuno che è o era “una parte di me”. Il modo in cui parliamo di amore è sempre relazionale. Inconsciamente usiamo il linguaggio della Trinità; sentiamo che qualcun altro ci rende completi. Due persone insieme sono esclusive, ma se aggiungiamo un terzo amore uguale, cosa abbiamo? Una comunità, una comunione d’amore che è inclusiva. Avrete molti scorci della Trinità nella vostra vita… basta essere aperti ad essi.
Estratto da Il Messaggero del Sacro Cuore, dicembre 2021, Tom Cox